L’anca è la seconda articolazione di carico dell’uomo (dopo il ginocchio) ed è assimilabile a un giunto sferico. E’ composta dalla testa del femore accolta dalla porzione del bacino chiamata acetabolo o cotile. Grazie alla sua morfologia, garantisce un ampio arco di movimento. La sua stabilità è garantita dalla capsula, dai legamenti e da robusti gruppi muscolari.

Le più comuni patologie dell’anca sono costituite dalle patologie degenerative articolari. La più frequente è l’artrosi (coxartrosi) che, tramite meccanismi biologici complessi e tutt’ora poco chiari insieme a insulti meccanici prolungati, determina la distruzione della cartilagine e delle strutture articolari; questo meccanismo provoca la perdita di movimento e dolore ingravescente.

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  • Displasia

    Per displasia dell’anca si intende un’anomalia di sviluppo dell’articolazione per cui la  testa femorale non viene più accolta perfettamente nella una cavità acetabolare. La familiarità rappresenta un’importante fattore di rischio.

    Gli screening neonatali degli ultimi decenni hanno permesso di trattare con buoni risultati le anche displasiche dei neonati riducendo i danni tipici che si manifestano nell’età adulta.

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    Esistono diversi gradi di gravità della displasia: dalla lussazione alle alterazioni morfologiche minori che rappresentano una causa subdola di coxartrosi.

  • Conflitto femoro-acetabolare

    Recenti studi approfonditi insieme a tecniche diagnostiche sempre più sofisticate hanno permesso negli ultimi anni di definire cosiddette “displasie minori” come nel caso dell’impingement femoro-acetabolare (FAI).

    Si tratta di una condizione in cui le ossa che costituiscono l’articolazione dell’anca femore e acetabolo) presentano una morfologia anormale e sviluppano escrescenze o speroni ossei intorno alla testa del femore e/o lungo l’acetabolo. Pertanto, non combaciando perfettamente durante i movimenti, sfregano l’uno contro l’altro; nel corso del tempo, questo può causare la lacerazione del labbro acetabularie (struttura cartilaginea e la degenerazione della cartilagine articolare fino a portare a quadri di artrosi conclamata.

    Poiché gli sportivi utilizzano l’articolazione dell’anca in maniera più violenta e con escursioni articolari estreme, essi possono sviluppare i sintomi prima delle persone sedentarie.

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    Il trattamento di questa patologia può essere conservativo (modifica dello stile di vita evitando movimenti o sport che provochino dolore, farmaci antinfiammatori e programmi riabilitativi specifici) o chirurgico.

    In quest’ultimo caso l’artroscopia permette, in casi molto selezionati, il trattamento della causa che provoca la degenerazione, la pulizia delle lesioni ed essendo una proceduta mininvasiva, i tempi di recupero sono molto veloci.

    Altre cause di dolore all’anca sono costituite dall’artrite reumatoide o da artriti specifiche, dalla necrosi avascolare della testa del femore, dagli esiti di una frattura, da patologie dell’età evolutiva come displasie o lussazioni, morbo di Perthes, epifisiolisi, ecc.

    Come nel ginocchio, la sostituzione protesica dell’anca si rende necessaria quando i danni articolari sono tali per cui i sintomi dolorosi e la limitazione funzionale non permettono al paziente una vita di relazione normale.

  • Necrosi cefalica

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    L’osteonecrosi dell’anca è una patologia che si verifica quando l’afflusso di sangue alla testa del femore viene meno. In assenza di sangue, le cellule del tessuto osseo della testa femorale vanno incontro a necrosi (muoiono) e la cartilagine sovrastante crolla portando, in ultimo, all’artrosi e alla distruzione dell’articolazione.

    Traumi gravi come le fratture del collo di femore o le lussazioni dell’anca possono portare alla necrosi cefalica, tuttavia nella maggior parte dei casi in cui la necrosi si sviluppa in assenza di traumi, le cause per cui si verifica la crisi vascolare risultano ancora oggi ignote. Sono stati identificati alcuni fattori di rischio quali il diabete, l’alcoolismo, terapie prolungate con farmaci corticosteroidi (cortisone) o altre malattie come l’anemia falciforme, malattie mieloproliferative, la malattia di Gaucher, il lupus eritematoso sistemico, il morbo di Crohn, tromboembolie e vasculiti.

    L’osteonecrosi si sviluppa in più fasi, la cui progressione può avvenire in un tempo variabile da qualche mese a oltre un anno. Il primo sintomo è il dolore all’anca durante il carico che può peggiorare fino a rendere impossibile la deambulazione o addirittura l’ortostasi.
    Riconoscere precocemente i sintomi prima che i danni articolari si siano sviluppati è fondamentale per la prognosi di tale patologia: quanto più è precoce il trattamento tanto migliori saranno i risultati.
    I pazienti in cui l’osteonecrosi è diagnosticata in una fase molto precoce (prima del collasso della testa femorale) sono buoni candidati per le procedure di conservazione dell’anca.
    La cosiddetta core decompression consiste nel perforare la testa femorale attraverso mini-incisioni e asportare la parte di tessuto osseo andata in necrosi sostituendola con trapianti ossei autologhi, omologhi o con sostituti ossei. Un aiuto biologico tramite cellule staminali o concentrati piastrinici favoriscono la rivascolarizzazione della zona e quindi la rigenerazione ossea e cartilaginea.

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    Un’altra opzione chirurgica è quella di utilizzare un trapianto di perone vascolarizzato. Si tratta di una procedura più complessa, in cui viene prelevato con tecniche microchirurgiche il perone con il peduncolo vascolare dall’arto controlaterale e successivamente innestato all’interno della testa del femore per favorire la guarigione della zona di osteonecrosi.

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    Quando, tuttavia, la necrosi cefalica è ormai a uno stadio avanzato e la testa del femore è collassata, il trattamento più efficace è costituito dalla sostituzione protesica dell’anca.
  • Protesi d’anca

    La sostituzione protesica dell’articolazione dell’anca comprende il versante acetabolare (la parte del bacino o cotile) e quello femorale: si parla di artroprotesi. Nei casi di frattura del collo del femore, quando la cartilagine del cotile è ancora buona, è possibile protesizzare solo la componente femorale: si parla di endoprotesi.

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    Esistono svariati tipi di protesi, differenti per design (steli a conservazione del collo, steli retti e anatomici, cotili emisferici, tronco-conici, modulari) e concetto di fissazione (cementato, non cementato, a press-fit o avvitato).

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    La scelta del tipo di impianto dipende dal morfotipo del femore e del cotile, dalla patologia specifica, da condizioni locali e/o generali del paziente e dall’esperienza e filosofia del chirurgo.

    Il planning preoperatorio è fondamentale non solo per prevedere la misura delle componenti protesiche, ma soprattutto per definirne i parametri morfologici attraverso la cosiddetta coxometria e riprodurre, ove possibile, la normale fisiologia articolare e prevenire eventuali problematiche intraoperatorie.

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    In generale, le protesi non cementate e a risparmio osseo, si utilizzano maggiormente nei pazienti giovani e attivi; le protesi cementate si utilizzano, invece, quando la qualità dell’osso non è buona (es. pazienti in età molto avanzata, osteoporosi, ecc.).
    Le nuove tecniche di cementazione e la qualità dei cementi moderni garantiscono ottimi standard qualitativi sia in termini di resistenza, che di ancoraggio della protesi all’osso e di sopravvivenza dell’impianto a lungo termine.
    La protesi d’anca è costituita da uno stelo che viene inserito nel canale femorale, dal cotile che viene impiantato nella corrispondente porzione del bacino e dallo snodo, composto da una testina, da un collo e dall’inserto cotiloideo.
    I materiali di cui sono composte le protesi sono generalmente leghe metalliche prevalentemente in titanio (che risulta il materiale con le caratteristiche meccaniche –  il cosiddetto modulo di elasticità – più simili all’osso). Le superfici di scorrimento, essendo sottoposte a frizione, devono ridurre il più possibile l’usura e sono costituite prevalentemente da leghe metalliche (cromo-cobalto-molibdeno), materiali ceramici e plastici (polietilene).

    Prima di affrontare un intervento di protesi d’anca il chirurgo ortopedico vi illustrerà la tecnica impiegata e vi esporrà i pro e i contro di tale procedura.
    Un’attenta valutazione delle condizioni di salute generale è indispensabile per ridurre i rischi di complicazioni gravi.
    Verranno, pertanto, eseguiti esami ematici, un elettrocardiogramma, una radiografia del torace ed eventuali visite specialistiche più approfondite (es. cardiologia, vascolare, ecc.).
    Qualsiasi problema dentale (soprattutto ascessi), infezioni acute o croniche urinarie o di altri distretti dovranno essere attentamente valutate e curate per evitare di incorrere nella più temibile complicanza: l’infezione periprotesica.
    Le vie di accesso per impiantare una protesi d’anca sono svariate; gli accessi mininvasivi, laddove vi sia l’indicazione, possono ridurre i tempi di recupero.
    La riabilitazione dell’anca verrà iniziata, se le condizioni generali lo permettono, subito dopo l’intervento. Un fisioterapista vi insegnerà come usare un deambulatore o le stampelle e vi indicherà gli esercizi per rinforzare la muscolatura dell’anca. Dopo un breve soggiorno in ospedale le cure riabilitative proseguiranno in un centro di riabilitazione o al proprio domicilio.
    Cruciale per ottenere un buon risultato è la determinazione del paziente nell’eseguire gli esercizi di mobilizzazione e di rinforzo muscolare e nell’attenersi alle indicazioni del chirurgo. Il ritorno alla vita normale avviene generalmente in 1-2 mesi, mentre un recupero funzionale completo potrebbe richiedere anche 5-6 mesi.
    Il tasso di complicanze per la chirurgia protesica dell’anca totale è basso. La maggior parte delle problematiche sono trascurabili e possono essere facilmente trattate. Complicanze maggiori si verificano in meno del 2% dei casi. E’ importante conoscere e comprendere i rischi prima di decidere di essere sottoposti a tale procedura chirurgica. Possibili complicazioni chirurgiche comprendono le infezioni, le trombo-embolie, le lussazioni e le fratture attorno alla protesi (periprotesiche).

    PROTESI D’ANCA PER VIA ANTERIORE MININVASIVA

    L’accesso anteriore diretto all’anca, è una via chirurgica mininvasiva, non largamente utilizzata, che offre i vantaggi di un assoluto risparmio dei tessuti molli, non essendo sezionati né distaccati muscoli o tendini.

    E’ stata descritta per la prima volta alla fine dell’800 dal chirurgo tedesco Heuter (dal quale prende il nome) ed è stata ripresa e utilizzata da Smith-Petersen e da Judet nel XX secolo per l’impianto delle protesi d’anca; modificata negli ultimi anni da Matta, chirurgo americano che, con il miglioramento e l’adeguamento degli strumentari chirurgici, ne ha rinnovato l’interesse per l’impianto protesico esaltandone le caratteristiche di mininvasività.

    E’ una via chirurgica totalmente intramuscolare e internervosa che pertanto, a differenza delle altre vie di accesso che si utilizzano per l’impianto delle protesi d’anca, offre gli indubbi vantaggi di un completo risparmio tissutale fondamentale per la ripresa funzionale precoce e per la conservazione, anche a distanza di tempo, dei muscoli che rappresentano i motori dell’articolazione.

    Nonostante la letteratura a riguardo dei benefici rispetto alle altre vie non siano concordi, l’aspetto cosmetico, la veloce ripresa funzionale e i ridotti rischi di lussazione la rendono molto appetibile sia da parte dei pazienti che dai chirurghi.

    Questa tecnica, oltre a rendere l’intervento molto più anatomico, permette un recupero funzionale più veloce e meno doloroso, riduce le perdite ematiche, consente una riduzione dei tempi di ospedalizzazione e riduce i rischi di lussazione articolare. I vantaggi a lungo termine sono quelli di permettere un più naturale ritorno alle normali funzioni e attività rispetto alle altre vie chirurgiche.